25 gennaio 2007

che tutto finisca con grazia

" la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.”

Italo Calvino, Lezioni Americane

Perche' se deve essere l'ultimo post che sia leggero.
Perche' le lezioni americane sono incompiute come un milione di altre cose bellissime.

29 novembre 2006

personaggi senza bisogno d'autore

Ci sono persone che hanno il “vizio” di scrivere. Quando qualcosa li colpisce, quando si sentono soli, quando sono iperfelici o il nervosismo li assale.
Non saranno mai dei veri scrittori, non saranno mai né bravi né tantomeno geniali. In definitiva nessuno di loro lo fa per creare un capolavoro. Ciò che importa è trovarsi soli con un foglio. Bisogna andare oltre, aprire finestre.

Bisogna scrivere per gusto, bisogna scrivere per sé

La cosa importante è non avere pretese.

Storie senza senso, storie banali, che vivono solo per chi le scrive. Favole che permettono di staccare la spina.

Scrivere e parlare di “persone” che si incontrano per la prima volta nell’attimo in cui si poggia la penna sulla carta. So benissimo di essere io a guidare la penna, ma loro sono talmente concrete che non mi sento di inventarle, tutto ciò che posso fare è descriverle. Parlare di loro così come sono:VERE.
E mentre la storia va avanti, loro prendono sempre più potere, fanno quello che devono, quello che credono, incuranti di me. Capita che me ne innamori, e allora chiudere la storia mi costa una lacrima. Capita che li odi, e così li mollo al loro destino, chiudo la penna e lo sguardo che tanto sono certa andranno avanti anche da soli
Sono una vittima totale dei miei personaggi

E allora vorrei chiedere agli scrittori, a quelli veri, come fanno loro. Come fanno a reggere il peso di quei protagonisti. Quanta forza hanno per combattere con personaggi tanto forti, tanto affascinanti

A chi mi dice “sono solo vite di carta” non rispondo

16 novembre 2006

Pace (2)

Mi hai regalato una secchiata di nostalgia, e sono andata a ricercare tra i dischetti quel pezzo, quel momento, quell'ingenuità.



"Quella mattina non potevamo sapere. La bellezza era proprio nel fatto che ancora speravamo. Milioni di sciocchi ancora pensavano di poter contare qualcosa.
Io e Ilaria eravamo fra quei sognatori.
Sveglia alle nove e “ assetto da battaglia” : scarpe da ginnasta, panini e un entusiasmo adolescenziale. Acqua minerale e via, verso la stazione. Eravamo tanti, tantissimi, troppi anche solo per crederci. A conoscerci solo in due, ma a sentirsi inevitabilmente legati credo un po’ tutti. Ore a guardarsi intorno : possibile? Il circo massimo traboccante e l’Italia tutta lì. Mi veniva in mente solo una cosa: cielo!. Doveva essere una marcia, ma è stato un balletto, un rincorrersi di serpentoni di gente per le vie. Roma tutta un arcobaleno. I romani tutti in strada o alle finestre. Senza età in piazza per la stessa speranza. Bandiere padrone dei balconi e dove mancavano l’ingegno ci ha messo di suo. Applausi per ogni nuova ballatoio che cedeva alla lusinga di un lenzuolo colorato. Non era una manifestazione costruita. Ci si era dato appuntamento e poi tutto era venuto da se. Niente inizio e niente fine. Quel giorno ho camminato tra un mare di persone, e non le ho viste come semplici comparse. Mi aspettavo che ognuno avesse la sua motivazione, dissimile e pur stranamente uguali a tutte le altre. Ognuno parlava per sè. Un grido moltiplicato per migliaia di bocche. Migliaia di bocche a chiedere la stessa cosa : il diritto universale alla pace.
Piazza San Giovanni inaccessibile. Persone ordinatamente accalcate. La gioia strana per non essere riusciti ad entrarci. Si può essere felici anche per non aver trovato posto in una piazza già stracolma. Si può essere felici per essere troppi.
Il ritorno lento e stanco. Termini a pieno ritmo riportava tutti a casa. Era appena finito e ancora si sperava di aver realmente contato qualcosa. Sugli schermi le immagini di tutte le manifestazioni del mondo , e ingenuamente ci sembrava un trionfo. Eppure già sul treno , inconsapevole, si sentiva la tristezza. Il presagio che di lì a poco la pace sarebbe diventata roba da fumetti .
E nei giorni a seguire le accuse di essere dei sognatori. "



Pace

Qualche giorno fa Ba parlava di polifonia.
Ecco un altro ricordo, tre anni ed una guerra fa.
L’ho scritto io, ma l’abbiamo vissuta insieme. E alla grande, direi.

“Avevamo studiato con attenzione, quotidiano alla mano, il percorso del corteo, una serie di tappe a scandire quella marcia imponente – espressione di un movimento inedito di cui noi aspiravamo di far parte – da Via Ostiense fino alla scenografica piazza San Giovanni, lungo tutto il centro della Capitale, pronta ad ospitare quella che si sarebbe rivelata una delle più grandi manifestazioni che l’Itali abbia mai visto.
Sapevamo che non avremmo avuto né il tempo né l’opportunità di seguirla interamente, ma che importanza avevano tempo e opportunità di fronte all’entusiasmo e alla voglia di esserci? Erano giorni frenetici e carichi di attesa, troppo forte il desiderio di aggiungere la propria voce al grido di speranza che si levava da ogni parte del mondo.
Così, armate di consapevolezza, euforie e una curiosità quasi timorosa, cominciammo fin da Ostia il nostro corteo; ovunque, lungo il breve tragitto per andare a Roma incontravamo “compagni di marci” – sguardi complici, sorrisi di intesa, quasi a spartire un impegno comune, a sussurrarsi un incitamento alla partecipazione.
Arrivate al Colosseo, però, la vera sorpresa, uno di quegli spettacolari regali che solo casualmente senti di meritarti e che scarti comunque, con un sorriso beato stampato sulla faccia: davanti ai nostri occhi si srotolava un tappeto multicolore e vivo, una folla immensa di ragazzi, adulti, bambini, cani, striscioni. Un fiume in movimento, infinito e chiassoso – il chiasso di chi fa sentire la propria voce spontaneamente, e si diverte. Tutto intorno il sole e il cielo di una bella, fresca giornata di Febbraio, quasi a partecipare alla nostra festa.
E così abbiamo cominciato a camminare, stordite, trascinate oziosamente dal ritmo di migliaia di piedi in marcia, mai sazie delle infinite coreografie che teste e cuori possono creare quando si incontrano in un caleidoscopio di speranze, timori, espressioni e convinzioni.
In un paio d’ore siamo arrivate a piazza San Giovanni, e davvero a quel punto ci siamo rese conto di essere di fronte ad un vero e proprio popolo – neonato, improvvisato, variegato, ma pur sempre un popolo.
Musica, ovunque, e gente, tanta gente, traboccante non solo dalla piazza ma da tutte le vie circostanti, e bandiere, tanti arcobaleni in un unico immenso arcobaleno, e noi là in mezzo, sperdute e senza parole – in adorazione, quasi, di quel caos sorridente che ci impediva di trovar spazio anche solo per sederci un momento.
Il ritorno fu assorto, stanco e beato – silenziose a rivivere colori e slogan, con l’orgoglio spudorato di chi si sente padrone del mondo. Intorno a noi i “compagni i di marcia” incontrati poche ore prima e ancora quell’intesa, quella complicità. Si tornava a casa, e ricominciava l’attesa.”
Le parole sono sbiadite e forse ingenue all'occhio di oggi.
Ma la convinzione è forte come quel giorno.

14 novembre 2006

A long way down

MARTIN

Can I explain why I wanted to jump off the top of a tower-block? Of course I can explain why I wanted to jump off the top of a tower-block. I'm not a bloody idiot. I can explain it beacuse it wasn't inexplicable: it was a logical decision, the product of proper thought. It wasn't even a very serious thought, either. I don't mean it was whimsical - I just meant that it wasn't terribly complicated, or agonized. Put it this way: say you were, I don't know, an assistant bank manager, in Guildford. And you'd been thinking of emigrating, and then you were offered the job managing a bank in Sidney. Well, even though it's a pretty streightforward decision, you'd still have to think for a bit, wouldn't you? You might sit down with a bit of paper and draw up a list of pros and cons...

Nick Hornby - A long way down


8 novembre 2006

tristezza accademica

(...) . Accade spesso che chi scrive nella consapevolezza di essere letto trasformi le sue esperienze personali in una sorta di romanzo, una specie di racconto a puntate in cui il blogger è il protagonista. Molti romanzi in definitiva non sono che storie di vita comune, dove chi narra è il protagonista delle vicende che racconta (un numero importante di romanzi tra ottocento e novecento riprendono la forma del diario). Apparentemente quindi sembra di poter tentare un parallelo tra il blog e il romanzo, ma non bisogna mai perdere di vista il principio secondo cui chi scrive un blog non lo fa per vendere il suo prodotto a un pubblico, o almeno non è quello che lo spinge a iniziare la scrittura. Chi scrive per gli altri , nel senso di attirarli, così da aumentare il numero di visite e dei commenti, non crea uno spazio personale di libera scrittura. Chi agisce in questa maniera rischia di fare del blog un lavoro sterile, che diventa per l’autore più un dovere che un piacere ( quasi tutti i blog iniziati con la logica di attirare persone o si sono andati spegnendo o hanno abbandonato questa strada per una realmente personale). Scrivere per gli altri può diventare una condanna a morte per il blog. Ogni individuo, quando apre per la prima volta una sua pagina personale, è spinto da motivazioni diverse e particolari. Se così non fosse, se invece di seguire le proprie inclinazioni scrivesse cercando di anticipare i desideri dei suoi lettori ci troveremmo davanti a una semplice finzione, verrebbe meno quel senso di quotidianità che è la componente principale dei diari on-line. E’ questa comunque una quotidianità diversa da quella scritta in un diario cartaceo. Un blog, a differenza di un diario di tipo classico, suscita un maggiore interesse: ha un pubblico. Nelle pagine di un diario cartaceo, sicuri di non essere letti si scrive la pura verità, in un blog invece l’operazione di scrittura si fa più complicata e attenta. Sapere di avere un pubblico spinge chi scrive a dissimulare ciò che intende dire. Del resto è la forma che serve a veicolare il messaggio, difficilmente dei pensieri messi giù in forma bruta , senza accorgimenti, suscitano interesse o piacere. Per questo l’unico modo che chi scrive ha di far passare i propri pensieri è quello di servirsi di una scrittura curata , per meglio rendere sensazioni, odori, emozioni. L’urgenza di trasmettere il proprio pensiero spinge il blogger a metter in scena un gioco narrativo dove la realtà deve essere simulata, o meglio perché venga accettata non deve essere né completamente vera né completamente falsa. (...)

6 novembre 2006

Ivanhoe!!

E' stato davvero sfiancante, ma devo dire che mi è piaciuto.
Un sabato sera come un altro mi sono trovata a parlare di politica, etica e dintorni con un gruppo di persone che, per la maggior parte, conosco da poco (allarme rosso: territorio inesplorato, prepararsi a qualsiasi sorpresa).
Ora, il presupposto fondamentale è che io adoro discutere di tutto questo, mi infiammo per tutto questo, perdo le staffe, mi si aggrava l'ulcera, alzo la voce, sbatto i pugni sul tavolo, dico parolacce, muovo freneticamente le mani e alzo gli occhi al cielo.
Insomma, mi diverto da morire.
Il destino ha voluto che il mio principale interlocutore fosse agli antipodi del mio universo ideologico ed etico. Un insolito mix di Rocco Buttiglione, Alessandra Mussolini, Roberto Calderoli e Benedetto XVI.
E lì, miei cari, fuochi d'artificio.
Se aveste potuto assistere alla scena sareste stati fieri di me!
Con sprezzo del pericolo e creatività mi sono districata fra dogmi teologici e dati economici, sono stata autorevole ma non autoritaria, convincente ma non fanatica, ho toccato i cuori dei presenti senza cadere nel patetico, in un crescendo di competenza politica e ironia mai offensiva!!
La folla era in delirio!!!!
Certo, il lampo che ho visto negli occhi del mio contendente quando ci siamo salutati mi fa pensare che non abbia apprezzato il mio show .. ma che volete che sia?
Noi paladini di verità e giustizia dobbiamo pur affrontare qualche rischio, no?